martedì 10 novembre 2009

Una storia qualunque

Ora vi racconto una storia; anzi, la mia storia.
Qualche tempo fa si è svolta una grande manifestazione. Per noi gente normale, era una manifestazione molto importante. L'abbiamo preparata per mesi. Era un momento in cui anche noi avremmo potuto far sentire la nostra voce.
Si prevedeva la partecipazione di tante persone provenienti da ogni parte del mondo.
Io non ho un aspetto granché accattivante. Quando non mi faccio la barba per qualche giorno, mi danno del malato. Quando indosso la felpa con il cappuccio è facile che mi chiedano i documenti quando entro allo stadio per un concerto, o che mi perquisiscano all’aeroporto.
Insomma, sono uno, questo ho capito, che se mi incontri per strada al buio magari cambi marciapiede. Poi però, se mi vedi di giorno, ti accorgi che il mio corpo è fragile… Lo so, qualcuno potrebbe ritenerlo un vantaggio, io me ne sono fatto un complesso. Mangio, lo giuro. Eppure non ingrasso. Vabbé, lo ammetto, qualche problemino ce l’ho anche io, ma chi non ne ha? E poi questo è un altro discorso.
Con grande entusiasmo, convinto di poter cambiare il mondo, sono andato alla manifestazione.
Le cose però non sono andate come tutti (o quasi) credevamo. Gli animi si sono subito scaldati, e qualche testa calda nel casino ci si è trovato bene. Non ci ho capito tanto, ma i giorni dopo, della manifestazione non se ne parlava per i motivi che ci hanno spinto in piazza.
Quando la confusione si impadronisce di una folla, le cose diventano ingestibili, da parte di tutti.
Da parte di chi vuol far sentire la propria voce, e anche da parte di chi ha il compito di mantenere l’ordine.
Io ero tra quelli che voleva dire qualcosa. Lo ripeto, ero li per cambiare il mondo. Intorno a me tante persone che non capivo. Non sembrava avessero cose da dire quanto rabbia da sfogare.
In questi momenti è difficile isolarsi. Se intorno a te tutto viene distrutto, è difficile allontanarsi in fretta. Non sai neppure da che parte correre!
Come un lampo un colpo sul collo mi ha sbattuto per terra. A colpirmi è stato un uomo in uniforme e assetto da guerra.
È strano, ma in quel momento ho pensato semplicemente “Cazzo, mi ha scambiato per uno di quelli!”. Quando sono caduto a terra per un secondo ho pensato a cosa avrei raccontato agli amici, convinto che inerme sarei stato ignorato.
I calci, i pugni e le manganellate sono arrivati tutti insieme e in un secondo. Non ricordo nulla, perché ho subito perso i sensi.
Quando mi sono svegliato ero in una camionetta con altre persone dall’aspetto sconvolto. Respirare significava strapparmi la carne. Ogni movimento corrispondeva ad un dolore lancinante. Non vedevo bene perché un occhio non riuscivo ad aprirlo. Il sapore ferroso in bocca era la cosa meno fastidiosa. Con la lingua continuavo ad andare a toccare delle finestre mai sentite prima tra i miei denti.
A vedermi in quel momento non facevo un bel effetto, ne sono sicuro.
Quando mi hanno fatto scendere dalla camionetta devono aver visto scendere un moderno zombie.
“Eccolo qui il morto vivente” mi hanno detto. Non credo di aver sorriso, perché non ne avevo tanti motivi, credo invece di aver fatto una smorfia di dolore. “Che cazzo ridi?” mi ha gridato qualcuno?
Stare in piedi era difficile per il male che provavo, ma lo spintone che ricevetti fece il resto.
Andai a sbattere contro il muro e il dolore mi tuonò nella testa.
Quando mi colpirono dietro la schiena con un bastone fu una sensazione agghiacciante. La rottura della spina dorsale la sentii con le mie orecchie. Poi mi accasciai per terra e parte del dolore svanì. Le gambe non esistevano più.
La cosa che più mi fece incazzare fu il mio essere inerme. Non aver saputo dire una parola, non aver avuto la forza di dare un solo pugno.
Quando mi spensi davanti agli occhi avevo solo urla, sangue e occhi spiritati.
Vivevo in un piccolo paese del Sud America ma qui dove sono ora, ho incontrato altre persone di altri posti del mondo che con me condividono solo l’aspetto malandato, che mi hanno raccontano le loro storie e ho scoperto che non sono poi così diverse dalla mia.

11 commenti:

Anonimo ha detto...

è ora di tornare a scrivere racconti
Pomme

Paolino ha detto...

Grazie della fiducia Pomme.
Posso sapere chi sei?

luscia ha detto...

sollevo un vespaio: sospetto di un ghostwriter, non riconosco la tua penna in questo racconto! vespaio! vespaio!

Paolino ha detto...

Luscia, nessun vespaio. E' un'accusa assolutamente senza fondamento alcuno...
Forse, ma dico forse, perché gli ultimi racconti che hai letto sono quelli scritti circa 15 anni fa?
Ciao.

luscia ha detto...

Faccio pubblica ammenda (pubblica de che? ormai ce so rimasto solo io a commentare i tuoi vaniloqui!), ma in effetti, dopo una attenta rilettura e sentita l'opinione di grandi lettori ed esperti (il mikkio), devo ammettere il mio abbaglio.
Valga come il migliore complimento che tu abbia mai ricevuto, aver scritto qualcosa così bene da non apparire nemmeno tuo! :)
Ti esorto a scrivere e pubblicare cose recenti, avendo tu evidentemente raggiunto una apprezzabilissima maturità artistica (gli anni sono abbastanza anche per la pace dei sensi, in effetti...).
Cordialità,
Luscia

Paolino ha detto...

Scuse accettate!
Faccio però presente al mio caloroso pubblico che questo splendido Blog vanta oltre 100 pagine viste alla settimana... E che diamine!
:(

Verosimile ha detto...

Non e' mica una gara! Comunque bella storia.

Paolino ha detto...

Vero, sono contento che tu abbia letto (e apprezzato).
Grazie.

luscia ha detto...

mi si vuole deprivare del mio ruolo di sobillatore di vespai di questo blog? no, ditelo! :)

Anonimo ha detto...

Visto che siamo in tema, io sono il sobillatore di un altro blog. Il famoso "anonimo" se ti va di chiaccherare la mia email è:
cuocobianco [at] yahoo.it (notare l'ironia :P )
Ah, mi scuso per l'errore, tu sei forse l'unico ad aver dimostrato apertura e raziocinio! ^__^

luscia ha detto...

non capisco, mi si chiede forse di sobillare vespai in altri blog?

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