lunedì 30 marzo 2009

Figure retoriche

Se c'è una cosa che Carletto Dado Molina, mio prof di Lettere ai tempi del Liceo, mi ha lasciato, oltre all'odio per i dadi (ma questa è un'altra storia) è una certa attrazione per le figure retoriche.
Mi ricordo che il buon Moletta ci faceva imparare a memoria le definizioni e alcuni esempi di figure retoriche...
Il metodo è, almeno per quanto mi riguarda, decisamente inappropriato ed infatti non mi ricordo un solo esempio ed una sola definizione. Per sapere che "sono soli nel sole" è un'alliterazione son dovuto ricorrere al prezioso aiuto del Mikkio (già all'epoca del Liceo dotato di spiccate doti mnemoniche e di comprensione!).
Un'altra figura retorica per me molto affascinante è l'onomatopea.
L'onomatopea è "una figura retorica che riproduce, attraverso i suoni linguistici di una determinata lingua, il rumore o il suono associato a un oggetto o a un soggetto cui si vuole fare riferimento" (liberamente tratto da wikipedia).

Sapete cosa? Mia figlia è una poetessa.
Fa un vasto utilizzo di questa figura retorica con ottimi risultati.
Quando ha sete non chiede l'acqua, ma dice "Papà: ahhhh!" (tipico verso che si fa dopo aver bevuto con immensa goduria un bicchiere di acqua).
Quando parla della macchina la definisce "Mooom, mooom" (ricordando il rumore del motore).
Vuole essere presa in braccio? Beh, facile: "Mamma. Ouff ouff" (perché si fa fatica a prenderla in braccio!).
Le scale sono "Op, op" (questo probabilmente perché le si tiene il ritmo quando sale o scende...).

Insomma, siamo in lista per il prossimo Nobel della letteratura.

Ciao!

domenica 29 marzo 2009

Turamisù cotto


E' un po' di tempo che ho la "voglia" di Crem Caramel.
Pensando a questo dolce, ed essendo un patito del tiramisù, mi è venuta l'idea di unire le due preparazioni e creare il Tiramisù Cotto.
Il dolce che vedete in foto ha come base un biscotto savoiardo, sopra una crema al mascarpone cotta con caramello al caffé. Per finire cioccolato fondente al 55% grattugiato.
Per il mio gusto decisamente buono!
Ciao.

martedì 24 marzo 2009

Complimenti

Ma la gente che fa i complimenti (quelli, per intenderci, del tipo: "No, grazie basta così...", "No, no, grazie no..." e via così), si rende conto di quanto disturba più a farli che a non farli?

Io sono convinto di si, e che sia una loro missione...

Facciamo qualche esempio (ovviamente di pura fantasia):

metti il caso di dover portare o andare a prendere qualcosa al quarto piano senza ascensore, di una persona di una certa età (chessò, la suocera). Suoni: "Chi è?", "Sono io", e metti che lei: "Scendo giù io!"...
A questo punto scatta il complimento (Scendo giù io) e scatta, soprattutto, il menaggio per te.
Mi spiego: se tu in quel momento pensi ai fatti tuoi, può anche succedere che tu non sia pronto e quindi non ribatti prontamente o (peggio) rispondi con uno spensierato "Va bene, ti aspetto". Poi ci pensi, e ti rendi conto di aver fatto un errore, provi a rimediare... Risuoni al citofono ma ovviamente nessuno risponde più; provi a sfondare il portone, ma resiste... Click. Il portone che si apre ed eccola con il qualcosa!!! Adesso lei si deve fare quattro piani di scale, e tu ti senti una merda...
Può succedere invece che tu sia pronto, e ribatti subito e prontamente "No, vengo su io!", "Va bene" risponde lei, e ti apre. Ma tu li conosci i tuoi polli e allora cominci a fare le scale a due a due, e poi inizi a correre... Ma niente. La incontri al terzo piano con il sorriso sulle labbra. Tu ti sei fatto tre piani di corsa e hai il fiatone, e lei comunque se ne deve fare uno in salita...
Ok, ma stavolta non ti senti tu una merda!!!
Ce ne sono altri di esempi, ma direi che il concetto è chiaro no?
Il suggerimento è: voi che i complimenti li fate credendoci, e davvero non volete dar fastidio, lo volete un consiglio? Beh, non fate complimenti, e vedrete che tutti vivremo di tranquilli e senza fastidi.

Baci.

venerdì 20 marzo 2009

Margarita Finale (prima e dopo)

Prima della cura:

http://paolopak.blogspot.com/2008/09/margarita-finale.html



Dopo i Cinque giorni dal Cuoco Nero:




Preparazione:
Il dolce è composto da tre parti:
1. Pan di spagna imbevuto di sciroppo al Margarita
2. Bavarese al Lime3. Croccante di zucchero e sale rosa
Pan di spagna.
Ingredienti:
4 tuorli;
4 albumi;
110 gr di Farina;
120 gr di zucchero;
La scorza di mezzo lime in polvere
Montare i tuorli con metà dello zucchero fino a ottenere un composto chiaro, gonfio e spumoso. Incorporare la farina setacciata e la polvere di lime (per la polvere, pelare mezzo lime e sbollentare per 3 volte le scorze; far asciugare e ridurre in polvere con il coltello).
Montare gli albumi con il restante zucchero e aggiungere al composto. Stendere su una placca foderata di carta forno e infornare a 180° per 10 minuti (o finché la superficie non è colorata). Sfornare e far raffreddare. Tagliare con il coppa pasta dei dischi grandi come la base della bavarese.

Sciroppo al margarita.
Ingredienti:
100 gr di acqua
50 gr di zucchero
30 gr di cointreau
60 gr di tequila

Far sciogliere l’acqua e lo zucchero; aggiungere il succo di mezzo lime e far sciroppare. Togliere dal fuoco e aggiungere il cointreau e la tequila.Far raffreddare leggermente lo sciroppo e intingervi dentro i dischi di pan di spagna.
Bavarese al lime.
Ingredienti:
250 gr di latte;
125 gr di panna;
100 gr di zucchero;
3 tuorli;
6 gr di colla di pesce;
la scorza di un lime;
succo di mezzo lime.
Portare a ebollizione il latte con metà dello zucchero e le scorze del lime.
Rompere i tuorli e mescolarli con la restante metà dello zucchero, aggiungere il succo di lime, filtrare il latte e versarlo sui tuorli. Rimettere sul fuoco e far cuocere fino a 82°.Togliere dal fuoco e aggiungervi la colla di pesce idratata in acqua fredda e ben strizzata. Mescolare per far sciogliere e far raffreddare.Montare la panna e incorporare alla crema liquida.Mettere negli stampini e tenere in freezer per qualche ora. Togliere dal frezer quando solidi, montare il dolce e lasciar scongelare prima di servire

Croccante di zucchero e sale.
Ingredienti:
zucchero di canna q.b.;
sale q.b..
Scaldare il forno a 200°. Versare su un foglio di silpat lo zucchero in forma circolare. Stenderlo perché formi una superficie abbastanza sottile. Versarvi sopra il sale e mettere in forno finché non si scioglie e caramella. Caramella in pochi minuti e bisogna fare attenzione a che non bruci perché assumerebbe un sapore di bruciato e non di salato che è invece l'effetto voluto.
Togliere dal forno e far raffreddare.
Composizione del dolce.
Posare alla base il disco di pan di spagna imbevuto nello sciroppo al margarita.Posarvi sopra la bavarese e per ultimo il croccante di zucchero e sale.
Mangiare assaporando i tre elementi insieme.

mercoledì 18 marzo 2009

Una verità (quarta e ultima puntata)

Mi trovo in un corridoio piuttosto largo e molto lungo. Le pareti sono fregiate da buchi regolari e disposti in maniera ordinata, molto stretti ma piuttosto profondi. Per l’idea che ho io di catacombe questo è ciò che mi sembra. Non c’è tanta luce, visto che l’unica fonte luminosa è l’apertura nel muro alle mie spalle attraverso la quale sono appena passato.
Proseguo in questa direzione e comincio a percorrere il corridoio. So che tra non molto sarò raggiunto dalla Cosa che mi ha sparato addosso già due volte e comincio a correre.
I buchi alle pareti sono vuoti, almeno quelli che ho superato fino a questo momento, e il corridoio sta ormai per finire.
Tra i tanti loculi che affianco, uno attira la mia attenzione più degli altri perché è praticamente una finestra. Mi affaccio per guardare e lo spettacolo a cui assisto è qualcosa di terrificante.
Il mio sguardo si perde in una stanza non molto grande, illuminata a mala pena da una specie di schermo verde che occupa l’intera parete che si trova sulla destra del mio campo visivo. La luce pulsa e l’effetto che offre è quello di un cuore vivo che pompa sangue.
Legati al soffitto, come quarti di bue in una cella frigorifera, vedo corpi umani, assolutamente privi di peluria, con il petto squarciato da un taglio verticale. Sono appesi per le gambe e hanno tutti un solo braccio penzolante. A ognuno di loro è stato amputato il braccio destro. La mia attenzione ora viene catturata dal cadavere di una donna al quale sono state mozzate entrambe le braccia e che presenta due profonde e nette incisioni alla base dei seni.
Questa volta non riesco a trattenere i conati di vomito che mi assalgono e decido di interrompere la visione di questo atroce spettacolo.
Mi allontano dalla finestra e riprendo la mia fuga verso il fondo del corridoio. Quando ormai mancano poco più di cinque metri al termine del vicolo cieco lungo il quale sto correndo, scorgo un buco nel pavimento al termine della galleria. Continuo a correre verso quello che penso sia la mia salvezza e non appena posso guardarvi dentro scopro che sotto di me, a una decina di metri, c’è la spiaggia dove alle dieci in punto di non so quale giorno prima (o addirittura di quello stesso giorno!), stavo passeggiando leggermente alticcio.
Il salto è molto alto e mi viene in mente della volta in cui salii in cima ad un trampolino da dieci metri in piscina e supplicai il bagnino perché mi facesse tornare indietro utilizzando la scaletta.
Per la prima volta i miei ospiti dicono qualcosa. Nel preciso istante in cui la Cosa che mi sta seguendo entra nel corridoio in cui mi trovo, emette un verso molto simile ad un ringhio che mi fa sobbalzare. A spaventarmi è anche la sorpresa dell’essere stato raggiunto, il fatto che nel momento stesso in cui ho trovato la via d’uscita da quell’incubo sono anche ad un passo dall’essere ucciso.
La Cosa che ho di fronte, a una quindicina di metri da me, non ha assolutamente una composizione stabile. Sembra un ombra con le sembianze di un fantoccio goffamente umano: ne distinguo chiaramente le gambe, il busto e la testa. In mezzo a quella che a mio parere è la faccia, come fossero due occhi, vedo due cerchi schiacciati luminosi: sono verdi e pulsano come la parete del macello.
La sagoma è completata dal braccio sinistro anch’esso d’ombra, mentre il destro, quello che impugna l’arma che per due volte mi ha mirato, è quello di un uomo. Non ho dubbi, l’ombra che mi vuole uccidere ha un braccio umano attaccato alla sua spalla incorporea.
Non ho tempo per pensare a niente, la Cosa mi sta per sparare e se non salto giù immediatamente per me è la fine. Mi tuffo come se davvero sotto avessi una piscina; appena tocco la sabbia con i piedi cerco di attutire la caduta ruotando su un fianco e incredibilmente (per me almeno!) riesco a non farmi male.
Guardo verso il cielo e vedo nient’altro che stelle, l’astronave non è visibile eppure sono certo che sia sopra di me! Comincio a scappare e sento in lontananza una chitarra e Sara che canta. Probabilmente sono stato rapito per qualche ora solamente, e a dire il vero non me lo chiedo neanche, perché la mia testa sta continuando a ripetere la stessa frase ossessivamente: “Gli serviamo noi per diventare reali!”.

Ieri sera sono uscito dopo cena per fare due passi: avevo mangiato troppo e poi con Lisa c’era di nuovo aria di tempesta. Insomma avevo bisogno di starmene un po’ in pace a pensare ai fatti miei.
Come spesso accade in questi casi le mie gambe hanno preso a marciare da sole e senza rendermene conto mi sono trovato così lontano da casa da stentare a riconoscere dove mi trovassi.
Poi quel vicolo poco illuminato e stretto è tornato ad essermi famigliare; quando andavo a scuola ci passavo così spesso…
Mi è sembrato strano aver ripercorso così meccanicamente quella strada, dal momento che l’ultima volta che vi ero transitato era stato almeno dieci anni fa.
Ho ripreso a camminare e ad un tratto in fondo al vicolo ho scorto due persone. Sembrava stessero parlando perché, seppure molto lentamente (quasi seguissero una melodia), gesticolavano. Mi sono trovato come ipnotizzato a guardarli. Continuavano quella specie di dialogo ma dalle loro labbra non usciva il minimo suono.
Uno dei due, quello sulla destra, indossava una camicia blu scuro e non ho potuto non notare che gli mancava un braccio. Non mi posso essere sbagliato, perché la danza che stavano facendo era soprattutto un movimento di braccia e quella manica vuota distesa lungo il busto stonava terribilmente.
Improvvisamente, come se si fossero accorti di me, hanno interrotto ogni movimento e i loro occhi si sono illuminati di verde. Hanno cominciato a pulsare e in quel momento è stato come se il mondo mi fosse crollato addosso. Sono scappato, ma per pochi istanti (eterni in quel momento!) il vicolo si è colorato di verde e pulsava, pulsava, pulsava…

Stasera non sono uscito con gli amici, sono stato in casa a pensare (ricordare) a quella maledetta sera di sette anni fa. Mi sono messo a scrivere ma non ho mai smesso di piangere…

Una verità (terza puntata)

Sono seduto su qualcosa di trasparente ma attraverso di esso non vedo niente. È come se stessi guardando attraverso un vetro che da nel nulla. La stanza in cui mi trovo non ha dimensioni: tutto è pervaso da una forte luce che però non mi da fastidio agli occhi.
Intorno a me c’è il bianco. Ecco, questo è quello che provo: è come se fossi immerso in un’enorme ‘vasca’ di bianco, un bianco senza consistenza fisica che si lascia vedere.
Solo il pavimento non sembra intonarsi con il resto ‘dell’arredamento’, perché è stranamente solido. È molto lucido e luminoso, ma è anche ben definito. Si vede dove inizia, insomma! Quest’aspetto mi da un po’ di sollievo. “Almeno vedere dove metto i piedi” penso.
Giro su me stesso in modo da poter piegare le gambe e mettere i piedi per terra continuando a stare seduto (non me la sento ancora di provare ad alzarmi in piedi), e intorno a me continua ad esserci questo spazio senza dimensione.
Mi guardo (mi stupisco di non averlo fatto subito, di non essermi controllato immediatamente) e con enorme stupore mi scopro completamente nudo e totalmente depilato. Con le mani mi tocco la testa e mi fa impressione sentire soltanto la cute a contatto con le dita. Come se fossi cieco e mi stessi studiando al tatto, le dita scendono sul viso e mi accorgo di non avere più nemmeno le sopracciglia. Mi accarezzo le guance e la mia pelle è liscia come non mai.
Il mio corpo completamente glabro mi risulta buffo, e nonostante la situazione sia quella che è, mi scopro a sorridere.
È il momento di alzarsi. L’idea di stare sprecando tempo prezioso mi fa scattare come una molla e finalmente sono in piedi. Il suolo è freddo e cerco di posare per terra solo una parte della pianta dei piedi per camminare e mi avvio seguendo una direzione a caso.
Intorno a me c’è sempre questo ambiente privo di consistenza e luminoso che ora mi ricorda la nebbia. La sensazione che provo è insopportabile, anche per via dei dubbi che cominciano ad assalirmi. E se loro vedessero attraverso? Se questa fosse la loro aria e ci vedessero benissimo? Non me ne sono nemmeno accorto e già sto correndo. Corro alla cieca, non so verso cosa ma comunque non trovo ostacoli davanti a me.
Ad un tratto, come se davvero uscisse da un banco di nebbia, mi appare davanti, a poco meno di due metri (“Visibilità 2 mt.”, penso), un altro letto trasparente con sopra un cadavere umano.
Sono praticamente sicuro che si tratti del mio amico conosciuto poco tempo prima, ma non ho nemmeno il tempo di provare compassione perché un senso di nausea mi investe a tutta velocità.
Il petto dell’uomo è completamente aperto, un braccio è stato amputato e tra le viscere distinguo con ripugnante chiarezza il fegato, lo stomaco e i polmoni. Di anatomia non ne so assolutamente nulla, ma una vaga idea di dove si trovi il cuore me la sono fatta in tanti anni; ebbene, è incredibile ma il cuore non c’è! È stato strappato da petto di quel poveretto e portato chissà dove, insieme al suo braccio destro e probabilmente anche ad altro, visto che il sangue che ricopre il cadavere è talmente tanto che non è da escludere che qualche particolare anatomico sfugga alla mia attenzione.
Il modo in cui tutto ciò mi è apparso alla vista mi convince ancora di più che la nebbia che mi circonda altro non è che aria per i miei ospiti e la possibilità di essere in ‘bella’ compagnia è molto poco remota.
Oltrepasso la tomba che ho davanti e proseguo per la mia direzione (perché cambiare?) ma smetto di correre, dal momento che ora bisogna che cominci a razionalizzare la fuga.
Da dietro le mie spalle sento un rumore che non ho mai sentito in vita mia, è molto metallico e immediatamente dopo una saetta di luce mi sfiora un orecchio. Mi hanno sparato, è indubbio, e il colpo per poco non centrava il bersaglio! La luce che mi ha appena accarezzato penetra prima nella nebbia e poi termina la sua corsa contro qualcosa di solido, e l’esplosione che si crea emerge dal bianco che mi circonda e per un attimo riesco a vedere i confini del luogo in cui sono. “Il muro! Quello è un muro!” penso con gioia e senza riflettere che chi mi ha appena sparato sta per rifarlo, mi metto a correre verso il muro.
Nel momento in cui vedo di fronte a me la parete, perché la nebbia l’ha liberata, non faccio più in tempo a frenare e così mi getto di spalla contro l’ostacolo, in modo da attutire l’impatto. Il materiale di cui è fatto il muro è lo stesso che ho sotto i piedi, e mentre rifletto su questo particolare senza importanza un altro proiettile di luce mi sfiora il corpo. Finisce la sua corsa a pochi centimetri dal mio braccio sinistro e l’esplosione genera un calore che mi ustiona la pelle.
Tutto ciò ha su di me come l’effetto di una frustata e comincio quindi a correre verso sinistra, come se il proiettile mi avesse indicato la strada. Mi aspetto da un momento all’altro di essere colpito mortalmente da uno di quei lampi di luce che partono da non so dove e invece (perché quella volta fui veramente fortunato) mi trovo di fronte un’uscita nel muro che sto costeggiando.
Vi passo attraverso e come se fossi finito in un altro scenario del set di un film di fantascienza, il paesaggio cambia totalmente: quella luce uniforme che mi impediva di vedere oltre a un palmo dal mio naso è scomparsa, e tutto ciò che mi circonda ora è perfettamente chiaro e definito.

Una verità (seconda puntata)

Respiro bene. Non so per quale motivo ma il primo pensiero che ho è quello di vedere se riesco a respirare, se sono circondato o no da ossigeno! Intorno a me c’è buio pesto. Non riesco a distinguere nessuna forma e mi accorgo con sorpresa che non odo alcun suono e non percepisco alcun odore strano, se non questo aspro odore di... di silicone. Sì è proprio silicone!
Ecco che la testa mi comincia a girare, le gambe, finora tremolanti diventano di colpo totalmente insicure e non mi riesco a tenere in piedi; cado di schianto per terra privo di conoscenza.
Quando ritorno in me sono sdraiato su qualcosa di terribilmente morbido e appiccicoso, una specie di materasso fatto di gelatina, e mi accorgo di esservi sprofondato per alcuni centimetri e di non potermi muovere in nessun modo. L’unica definizione che posso dare della situazione in cui mi trovo è quella di essere incollato su un qualcosa di morbido e cedevole.
C’è luce intorno a me in questo momento e con gli occhi cerco di coprire più campo visivo possibile, ma dal momento che non posso girare la testa l’unica cosa che vedo è ciò che si trova sopra di me. Non si può dire che vedo un soffitto, perché manca di consistenza, mi sembra quasi di avere sopra la testa (non saprei dire a che distanza) un enorme muro d’acqua o di qualcosa di poco più denso, in continuo movimento e senza una forma stabile. Non ho i capelli negli occhi e questo mi stupisce dal momento che da quando ho deciso di farmeli crescere non mi è mai successo di non trovarmeli davanti agli occhi ogni mattina al risveglio. Muovo le sopracciglia, soffio con la bocca sporgendo il labbro inferiore per vedere se qualcosa si muove, ma niente. Mi sento nudo. Non ho freddo; è soltanto che questa sensazione di appiccicoso comincia ad infastidirmi, ma non riesco a controllare se ho ancora indosso i miei vestiti o meno.
All’improvviso, come un lampo, un urlo che definire straziante non basta, invade la stanza in cui mi trovo: è senza dubbio il grido di una persona anche se di umano ha ben poco ed io ora ho paura, una paura fottuta!
“AIUTO, CHE SUCCEDE?”.
C’è qualcun altro con me. In quella che mi sembra una stanza non sono solo…
“Hei, chi c’è?” chiedo con voce tremante.
“Chi sei? Che succede? Aiuto non mi riesco a muovere!”
Cazzo, il mio compagno di avventura (disavventura è forse meglio) è anche più confuso e spaventato di me. Brutta storia questa!
Ogni tanto percepisco di fianco a me una presenza, mi sembra di avere qualcuno vicino, e il fatto di non poter controllare cosa stia succedendo intorno a me mi impaurisce terribilmente. Faccio forza con i muscoli del collo nel tentativo di alzare la testa e mi rendo conto che lentamente la sostanza che mi sta trattenendo sdraiato in quella posizione sta mollando la presa; a dire la verità mi accorgo solo adesso di non riuscire a muovere nemmeno le dita, di essere... paralizzato! Sì, ecco cosa mi sta succedendo, sono paralizzato su un letto gelatinoso.
Alcuni muscoli del mio corpo cominciano a rispondere ai comandi del mio cervello, mi chiedo se quello che sta succedendo sia stato previsto da chi mi ha rapito o se viceversa il mio sia un comportamento anomalo. La cosa più intelligente che mi viene in mente di fare è quella di nascondere il progressivo miglioramento della mia situazione fino al momento in cui non sarò completamente rinvigorito. D’altra parte se questo è il decorso previsto non ho certamente modo di agire di sorpresa, la speranza è che nessuno sospetti che mi stia riprendendo.
Resto immobile sempre nella stessa posizione cercando di interrogare il mio corpo; mi sembra di percepire un formicolio che attraversa le mie gambe. Lo battezzo come ‘un buon segno’!
Cerco di decifrare lo stato fisico in cui mi trovo e mi dimentico quasi totalmente del pericolo che sto correndo, della situazione misteriosa in cui mi trovo finché il mio compagno, suo malgrado, non mi riporta alla realtà.
“Cosa volete? Chi siete? No, no lasciatemi. No, no N...!” l’urlo è stato bruscamente interrotto, è come se qualcosa avesse tappato la bocca del mio sventurato ‘amico’, e m’immagino la cosa semplice da fare pensandolo ancora paralizzato. È in questo momento che la paura rischia di prendere il sopravvento su di me e la tentazione di girarmi (almeno di provarci!) per vedere cosa stia succedendo è così forte che è un miracolo che io non ceda.
A ripensarci mi rendo conto che è stato questo il momento chiave di tutto, il fatto che io abbia resistito alla tentazione di controllare quello che stava succedendo è stato senza dubbio la mia salvezza.
Qualunque Essere mi abbia sequestrato deve essere molto diverso da come me lo possa immaginare, infatti il loro continuo vai e vieni non è mai stato accompagnato da alcun rumore di passi o altro, ogni volta che sono apparsi nella stanza in cui mi trovo, solamente le urla di spavento del mio compagno me li hanno annunciati. Ora posso immaginare di essere rimasto da solo per il fatto che intorno a me regna sovrano il silenzio. Bisognerebbe chiamarlo Silenzio con la ‘esse’ maiuscola tanto è totale e profondo!
Penso in un istante a tutto e a niente nello stesso momento. Mi rendo conto che potrebbe essere l’ultima volta in cui mi trovo in questa situazione di non sorvegliato, ma non sono così ingenuo da non porre almeno un minimo dubbio sulla veridicità della mia ipotesi di solitudine. È una logica conseguenza dedurre che se qualcuno (o qualcosa!) è rimasto a tenermi d’occhio, non farei una bella fine se mi scoprisse a provare ad alzarmi, e questo mi spaventa ancora di più.
Come fare per accertarmi se sono o no da solo?
Mi accorgo di non avere alcuna geniale idea per la testa e che non è nemmeno il caso di stare a scervellarmi più di tanto.
Tutto è un azzardo. Qualunque cosa faccia o va bene, o va male. Non ci sono vie di mezzo: o è vita o è morte, di questo sono certo.
Decido di provare ad alzarmi e la prima cosa che faccio è tentare di sollevare le gambe. I muscoli addominali si tendono e in un primo tempo lo sforzo che impiego rimano vano. Nel tentativo mancato, le braccia mi si sono piegate, come a far leva, e il fatto che questo ampio movimento non susciti reazioni mi convince che sono da solo.Sollevo la testa e mi sorprendo nel riuscirci. Con relativa facilità mi metto a sedere e quello che vedo intorno a me è qualcosa di inimmaginabile.

Una verità

Un racconto a puntate

Bene, eccoci finalmente arrivati al nocciolo, al motore che muove tutto, al perché scrivo. A ripensarci ora mi rendo conto che è l’unico motivo per cui ho iniziato a raccontare storie, questo genere di storie! Non ci avevo mai riflettuto e non fosse stato per ieri sera forse non lo avrei mai realizzato, avrei continuato a credere a quella storia dell’ispirazione, del dono naturale e altre falsità del genere (almeno per quello che mi riguarda!). Oggi purtroppo la penso diversamente e purtroppo mi spiego tante cose…
Quello che sto per scrivere è quasi terapeutico, credo che ormai tutto questo non possa più stare dentro di me, soprattutto adesso che ricordo tutto. Devo scriverlo e forse rileggendolo, un giorno, riuscirò a non piangere e a non rimanere impietrito dal terrore, perché adesso, mentre sto scrivendo, è questo quello che sto provando!
Prima mi siano concesse un paio di premesse, una agli amici ed una più generale: ai miei amici, a quelli che hanno letto quello che ho scritto finora e che mi hanno fatto i complimenti, chiedendomi anche da dove mi vengano certe idee e come faccia a pensarle dico: “Forse ora capirete…”. A tutti gli altri che ora stanno leggendo queste parole: “Giuro che adesso, mentre premo a gran ritmo i tasti della mia tastiera, l’idea è quella di non stampare mai e di non far mai leggere a nessuno questo ‘racconto’, se lo state leggendo è solo perché per qualche strano motivo ho cambiato quella che, ora come ora, è una ferrea convinzione”.

Va bene, ora quindi inizia la storia! Vado a raccontarvi quello che mi è successo in un Agosto di sette anni fa: il tutto comincia alle dieci di sera di un venerdì (non chiedetemi la data! Potrei andare a vederla su qualche vecchio calendario ma non me la sento; non tutto in una volta per piacere!).
Credo sia impossibile convincere qualcuno del fatto che fino a ieri sera niente di tutto questo era presente nella mia testa almeno a livello conscio, eppure è la pura e semplice verità. Se vogliamo addentrarci nel terreno, a me sconosciuto, della psicanalisi allora non credo sia impossibile dimostrare che molte delle cose che ho scritto hanno ragione di essere esclusivamente per quell’esperienza e a ripensare all’incredibile coincidenza di alcuni particolari che vissi in quelle ore e da me poi descritti in alcuni racconti, me ne convinco sempre di più…
Ci siamo! Ora è il momento di ritornare indietro di sette anni, di scoprirsi senza barba e con i capelli molto più lunghi, di sentirsi in perfetta forma fisica e di sorridere felici (ironia della sorte!) nel vedersi senza questa maledetta pancetta che non c’è verso di far sparire. Voi potete ancora decidere di non avventurarvi oltre; io lo avevo deciso (se di scelta volontaria si può parlare) e non fosse stato per l’incubo di ieri notte probabilmente per molti altri anni, se non per sempre, questa storia sarebbe rimasta nascosta nelle cavità della mia mente. Ormai tutto è di nuovo vivo dentro di me e non posso fare altro che scriverlo...

Siamo poco prima delle dieci di un venerdì di Agosto di sette anni fa, è una serata caldissima
Grazie, con il sole che c’è stato oggi!
e mi ritrovo a girare per la spiaggia in costume, allegro per via di quel vinello fresco fresco che ha portato Giovanni, cercando il coraggio per tuffarmi in acqua a riprendermi un po’.
E’ una serata terribilmente buia e a pensare che ieri sera c’era la luna piena e abbiamo fatto quella lunghissima passeggiata senza mai smettere di sorprenderci per quanta luce può fare la luna, mi invade una malinconia insopportabile. Si sente, nemmeno troppo in lontananza, la chitarra di Marco che accompagna la voce dolcissima di una ragazza che non credo di conoscere, ma che appena torno con gli altri,
dai, mi passa la nausea e si torna, ok?
sicuramente mi faccio presentare.
Passo a fianco di una coppietta che si sbaciucchia sdraiata sulla sabbia; avranno si e no diciotto anni, anzi lei mi sembra molto più giovane di lui, ma penso che siano solamente fatti loro e proseguo senza soffermarmi oltre: l’idea di passare per un guardone non è che mi affascini più di tanto.
Guardo l’ora, senza desiderare di sapere che ore siano, semplicemente perché è un’abitudine farlo e il mio orologio al quarzo fa scattare proprio sotto i miei occhi la scritta “22:00:00”. Sorrido compiaciuto. Non riesco a ricordare che mi sia mai capitata una coincidenza così straordinaria e mi sorprendo a riflettere che tutto sommato, se per un qualche motivo fossi un fanatico della cifra “10:15:27” ora non mi sarei stupito per niente, e che probabilmente ad ogni secondo della giornata corrisponde una persona che si affascina per la coincidenza di guardare l’orologio in quell’istante
certo che chi può essere così scemo da stupirsi per un’ora non piena? O le 21, o le 22, comunque ore precise, no?
Non faccio nemmeno in tempo ad accorgermi che ogni suono ora è sparito, che la chitarra non suona più, che quella splendida voce non canta più, che le onde non si infrangono più (!), quando una luce mi abbaglia all’improvviso e la terra si stacca dai miei piedi.
Mi sento letteralmente trasportare verso l’alto, verso una sorgente luminosa che mi acceca e mi impedisce di capire che cosa sia. Solo nell’istante in cui passo attraverso un foro largo non più di due metri il bagliore cessa; guardo in basso e la spiaggia
Sara! Era Sara a cantare, altro che!
è a circa otto, nove metri da me.
Vengo trasportato ancora per pochi decimetri quindi un rumore metallico mi dice che sotto i miei piedi ora c’è qualcosa: uno sportello si è appena chiuso ed ora non sono più sospeso in aria, sono appoggiato, con le gambe tremanti, sul pavimento di
astronave
un’astronave!

domenica 15 marzo 2009

Cinque giorni dal Cuoco Nero

Eccoci qui!
Di ritorno da una settimana speciale...
Di questi giorni ho tenuto un diario, che ho aggiornato ogni sera.
Credo sia il modo migliore per condividere con chi ne avrà voglia le emozioni vissute in questi cinque giorni.
E' poca roba, ma credo che rappresenti al meglio le emozioni provate...
Buona lettura e... Benvenuti al Cuoco Nero.

LUNEDI'
Conosco il Cuoco Nero che mi presenta la cucina.
Conosco Irene (pasticceria) che mi fa fare la torta di carote: "A fa pure a mi nonna" me dice!


La faccio, ma non cresce come dovrebbe (ho smontato troppo gli albumi), però è buona.
La giornata è stancante: io, uomo da ufficio, patisco a stare in piedi undici ore!
Maurizio mi sa che mi vede stanco (aggiungete che ero in piedi dalle quattro del mattino) e mi offre la cena.
Alessandro (primi) mi aveva incuriosito con il risotto alle spugnole e una crema di zucca con ravioli all'amaretto cotti al forno.


Ci casco e ordino entrambi i primi. Stupendi!!! Ma scoppio! Arriva il dolce e la piccola pasticceria.
Peccato mortale: dal cuoco Nero non mi godo i dolci. Finisco in affanno.
Vado a letto alle 11 e crollo come un bambino.

MARTEDI'
Faccio un po' il turista: colazione a Villa Borghese con bombe alla crema e cappuccio.
Arrivo in tardissima mattinata. Giornata tranquilla.
Gianni (pane e pasticceria) mi insegna a fare i grissini.
Fa figo per le cene con gli amici!
Conosco Giulia e associo un'altra persona reale ad un sito www!
Con Maurizio, Gaia e Irene si ragiona sul mio Margarita.
Il Cuoco Nero non è del tutto convinto.
Ragionano tre teste che di pasticceria ne capiscono davvero. Io ascolto rapito.
"Il croccante di zucchero e sale è una genialata!" mi dice Maurizio.
Vale il prezzo di un qualunque biglietto!
Qualche esperimento sul biscotto al lime e niente più.
Il Margarita comincia a prendere forma nella testa di Maurizio. Forse ci siamo! Domani si prova.
Faccio gli gnocchi con Alessandro!!!
Eligio (secondi) mi fa assaggiare il maialino... Uno spettacolo!!!
Anche la serata si conferma tranquilla.
Durante le "pulizie" si chiacchiera di tutto e di più.
Saggio sociologico di Eligio sullo spunto del rapimento di De André (che in sottofondo canta le canzoni di "Storia di un impiegato").
Andrea (antipasti) mi da un passaggio in macchina.
Grazie mille, visto che tra l'altro piove!
Mi metto a letto ma non riesco a prendere sonno.
Mi passano per la testa idee perversissime: "Con quella cucina a disposizione potrei fare di tutto!". Mi scopro maniaco gastronomico.
Mi piacerebbe fare assaggiare a tutti loro la "bagna fredda". A casa l'ho fatta con discreto successo. Con i mezzi che offre la cucina del Cuoco Nero verrebbe per forza bene: cupole di gelatina al peperone, crema di peperoni, crostini di patate e gelato all'acciuga.
Mi piacerebbe... Chissà!
E' l'una e mezza e ho acceso la luce per scrivere questo diario.
Ovviamente sarà il primo post del blog al mio rientro.
A domani.

MERCOLEDI'
Mi mancano le mie pricipesse.
Lo so, sono solo tre giorni ma mi mancano.
Oggi abbiamo (io e Irene) preparato l'innesto di caramello salato per il Margarita. Forse domani lo finalizziamo. Chissà?
Domani vado con Maurizio a Gambero Rosso ché lui registra Dolcemente.
Non vado in trasmissione con lui nel suo programma e mi sembra anche giusto!
Oggi giornata relativamente tranquilla ma sono sempre più coinvolto nella cucina.
Alessandro mi fa partecipare e mi da un sacco di dritte. Idem Irene.
Ma sono tutti incredibilmente gentili. Se mi avvicino a chiunque ricevo sempre spiegazioni e suggerimenti.
Sono stupefatto dalla competenza di ognuno di loro. Non che avessi dubbi, ma non credevo che di cucina si potesse parlare in questi termini e dettagli, e per così tanto tempo.
Non so quanto saprò riutilizzarlo (strumenti così me li sogno), ma sto imparando un sacco di cose.
Venerdì proverò a far loro il pesto.
Quasi dimenticavo: stamattina turista e gesto di clamorosa ribellione.
Ho camminato per due ore per arrivare a Città del Vaticano.
Sono entrato in P.zza S. Pietro passando i controlli della Polizia: "Coltellini?", "No, no" rispondo io.
Mi fanno passare. Entro.
Faccio qualche passo e... Sputo per terra!!!
Ohhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh!
'Notte.
A domani

GIOVEDI'
Oggi giornata televisiva.
Praticamente tutto il giorno alla Città del Gusto.
Lo Chef ha registrato cinque puntate di Dolcemente. Esperienza divertente. Ho scoperto qualche "trucco" televisivo...
Mi invitano a "Questo l'ho fatto io" ma sono un po' in crisi.
Un'altra giornata di ferie è un po' dura. Vedremo.
Mi ha fatto compagnia Giulia che domani mi accompagna a comprare attrezzi tecnici all'ingrosso. Grazie!!!
Domani è l'ultimo giorno.
Beh, sono contento perché torno dalle mie principesse però la Cucina del Cuoco Nero mi mancherà.
Ma i saluti a domani!

VENERDI'
00.05 (di sabato mattina). Sono in treno.
Mi sono letteralmente incastrato nella cuccetta del treno. Carrozza 11 letto (basso) 62.
Sopra non c'è nessuno, ma ho paura che salga qualcuno più avanti.
Sono partito e lascio un po' di cuore nella cucina del Cuoco Nero.
Ho abbracciato e baciato tutti, ma con sentimento vero.
Mi mancheranno!
Abbiamo finalmente fatto il Margarita.
Io sono soddisfatto, spero anche lo Chef.
Stamattina Giulia mi ha portato in giro e ho comprato un po' di cose tecniche. E' stata gentilissima (grazie ancora).
Ho comprato l'aceto di riso (belin, fino a Roma dovevo andare!) così finalmente mi faccio il sushi per bene!
Irene oggi mi ha fatto "lavorare" e non so davvero come ringraziarla.
Gaia si è "sciolta".
E' una ragazza speciale ed è stata davvero gentile. Una padrona di casa eccellente. E' molto presa da questo lavoro e la capisco perfettamente. Grande responsabilità... ma lei è assolutamente all'altezza!
Poi fianco a fianco di Maurizio a "costruire" il mio dolce.
Impagabile e indimenticabile.
Foto di rito!

Bilancio positivissimo, ma c'era da aspettarselo.
In serata mi ha chiamato il Mikkio che mi sembra davvero felice per me. Mi ha fatto piacere.
Domattina riabbraccio i miei tesori. Mi siete mancate.

Fin qui le emozioni a caldo.

Grazie di cuore, Maurizio, per questa settimana indimenticabile.

domenica 8 marzo 2009

Preparo la valigia

Eccomi qui, pronto per partire alla volta della capitale.
Destinazione: la cucina del ristornate Il Cuoco Nero.
Mamma mia che emozione.
Chissà quali sorprese mi riserverà questa settimana...
La cosa di per sé già fantastica sarà preparare il mio dolce con Maurizio.
Incredibile sarà, se sarà, vederlo aggiunto al suo menu (se non me ne regala uno, giuro che glielo rubo!!! Pardon, prendo in prestito...).
Ma questo è solo quello che mi riesco ad immaginare...
Il fatto è che di cosa voglia dire vivere nella cucina di un ristorante, io non ne ho la più pallida idea, e quindi sono sicuro che se mi immagino qualcosa, la realtà sarà assolutamente diversa ed inaspettata.
Quindi mi godo questa "ansia", questa curiosità e la prossima settimana!
Sono ancora incredulo sull'aver vinto il concorso, e la cosa che sempre più mi sbigottisce è aver vinto un concorso giudicato dal Cuoco Nero con un dolce che non prevede cioccolato!!!

Nella valigia ho messo un blocchetto di carta e una penna nuova, voglio appuntarmi ogni cosa!

Un abbraccio a tutti!

mercoledì 4 marzo 2009

Uno scherzo

Fu proprio nell’ultimo istante, quando ormai gli sarebbe stato impossibile tornare indietro, che capì che quello che stava per fare non era ciò che avrebbe voluto.
In quell’attimo, l’ultimo attimo, nella sua mente si affollarono un’infinità di pensieri e lui ne ebbe per un istante la consapevolezza.
Era come se avesse avuto davanti agli occhi uno schermo sul quale fossero stati proiettati contemporaneamente migliaia e migliaia di pellicole e per una qualche magia (cos’altro se no?) riuscisse a distinguerle ad una ad una. C’era qualcosa di più: anche le voci, accavallate le une alle altre, intrecciate e confuse come diversamente non sarebbe potuto essere, giungevano alle sue orecchie in un ordine particolare e ad ogni immagine riusciva ad associare il giusto suono.
Allora in quell’ammasso di luce che la sua mente proiettava davanti ai suoi occhi e in quel frastuono assordante che solamente lui poteva sentire, c’era sua padre che lo appendeva al muro quando era un bambino e non si poteva difendere (avrebbe reagito ora?). C’era lui, seduto a fianco del suo cane, tre giorni prima che morisse ad abbracciarlo e a chiedergli scusa: scusa per averlo portato poche volte a spasso, per quella volta del calcio e per le punture, e come allora i suoi occhi si annebbiarono.
C’era un treno che sfrecciava davanti ai suoi occhi. I finestrini erano una striscia continua luminosa e in mezzo a quello spettacolo sfocato ed in movimento lui, in piedi ad osservare il treno che passava, vide sé stesso seduto in un vagone, unica immagine a fuoco in quel mare di ombre, a parlare con un qualche “fantasma” del suo passato.
C’era sua nonna che gli sorrideva; c’era una spiaggia deserta illuminata da una luna piena circondata da stelle cadenti; c’era una macchina parcheggiata vicino ad un lago e c’era lui che piangeva disperato per chissà quale motivo.
Sentiva una canzone, ne distingueva il testo avulso dalla musica, sembrava che qualcuno lo stesse recitando, eppure quelle parole rievocavano in lui una melodia; quella musica, quelle parole dovevano ricordargli qualcosa, qualcosa che era nella sua testa, ne era convinto, ma che in quel preciso momento gli sfuggiva. Vide una ragazza che forse era legata a quel ricordo, poi quell’immagine sfumò mentre sullo “schermo” la stava abbracciando per salutarla.
Nuovamente altre immagini presero il posto di quelle vecchie e nuove frasi si sovrapposero a suoni ormai sfumati.
Tutto questo e molte altre scene furono chiare nella sua mente per un solo istante, eppure ora quei ricordi erano di nuovo vivi.
Nell’ultimo momento, in piedi sul balcone di casa sua a quasi venti metri dalla strada, si rivide quando prese la decisione, quella maledetta decisione che ora avrebbe pagato oro pur di potersela rimangiare. Invece non poteva. “Il dado è tratto”! Qualcuno l’aveva detto prima di lui e mai come adesso ne comprendeva il senso.
Guardò una macchina passare sotto di lui e un senso di vertigine, che non si era affievolito nemmeno dopo dieci anni vissuti in quella casa, lo assalì inesorabile.
Stava per farlo, nessuno lo avrebbe potuto fermare e una voce dentro di lui gridava: “Noooo!”.
La sua mano ormai era partita: afferrò la sigaretta che gli pendeva dalle labbra tra l’indice e il pollice, la guardò con disprezzo e la gettò nel vuoto. Il puntino luminoso disegnò nel buio della notte una parabola perfetta, poi toccò il suolo ed esplose.In quel momento, quando finalmente nella sua testa era riuscito a riportare calma e silenzio, disse: “Questa volta si smette davvero!”.

Ti auguro di essere bruttina

Figlia mia, Nella vita io ti auguro di essere bruttina.  Non dico proprio brutta, ma quel tanto che basta per piacere a qualcuno che sp...