mercoledì 18 marzo 2009

Una verità (terza puntata)

Sono seduto su qualcosa di trasparente ma attraverso di esso non vedo niente. È come se stessi guardando attraverso un vetro che da nel nulla. La stanza in cui mi trovo non ha dimensioni: tutto è pervaso da una forte luce che però non mi da fastidio agli occhi.
Intorno a me c’è il bianco. Ecco, questo è quello che provo: è come se fossi immerso in un’enorme ‘vasca’ di bianco, un bianco senza consistenza fisica che si lascia vedere.
Solo il pavimento non sembra intonarsi con il resto ‘dell’arredamento’, perché è stranamente solido. È molto lucido e luminoso, ma è anche ben definito. Si vede dove inizia, insomma! Quest’aspetto mi da un po’ di sollievo. “Almeno vedere dove metto i piedi” penso.
Giro su me stesso in modo da poter piegare le gambe e mettere i piedi per terra continuando a stare seduto (non me la sento ancora di provare ad alzarmi in piedi), e intorno a me continua ad esserci questo spazio senza dimensione.
Mi guardo (mi stupisco di non averlo fatto subito, di non essermi controllato immediatamente) e con enorme stupore mi scopro completamente nudo e totalmente depilato. Con le mani mi tocco la testa e mi fa impressione sentire soltanto la cute a contatto con le dita. Come se fossi cieco e mi stessi studiando al tatto, le dita scendono sul viso e mi accorgo di non avere più nemmeno le sopracciglia. Mi accarezzo le guance e la mia pelle è liscia come non mai.
Il mio corpo completamente glabro mi risulta buffo, e nonostante la situazione sia quella che è, mi scopro a sorridere.
È il momento di alzarsi. L’idea di stare sprecando tempo prezioso mi fa scattare come una molla e finalmente sono in piedi. Il suolo è freddo e cerco di posare per terra solo una parte della pianta dei piedi per camminare e mi avvio seguendo una direzione a caso.
Intorno a me c’è sempre questo ambiente privo di consistenza e luminoso che ora mi ricorda la nebbia. La sensazione che provo è insopportabile, anche per via dei dubbi che cominciano ad assalirmi. E se loro vedessero attraverso? Se questa fosse la loro aria e ci vedessero benissimo? Non me ne sono nemmeno accorto e già sto correndo. Corro alla cieca, non so verso cosa ma comunque non trovo ostacoli davanti a me.
Ad un tratto, come se davvero uscisse da un banco di nebbia, mi appare davanti, a poco meno di due metri (“Visibilità 2 mt.”, penso), un altro letto trasparente con sopra un cadavere umano.
Sono praticamente sicuro che si tratti del mio amico conosciuto poco tempo prima, ma non ho nemmeno il tempo di provare compassione perché un senso di nausea mi investe a tutta velocità.
Il petto dell’uomo è completamente aperto, un braccio è stato amputato e tra le viscere distinguo con ripugnante chiarezza il fegato, lo stomaco e i polmoni. Di anatomia non ne so assolutamente nulla, ma una vaga idea di dove si trovi il cuore me la sono fatta in tanti anni; ebbene, è incredibile ma il cuore non c’è! È stato strappato da petto di quel poveretto e portato chissà dove, insieme al suo braccio destro e probabilmente anche ad altro, visto che il sangue che ricopre il cadavere è talmente tanto che non è da escludere che qualche particolare anatomico sfugga alla mia attenzione.
Il modo in cui tutto ciò mi è apparso alla vista mi convince ancora di più che la nebbia che mi circonda altro non è che aria per i miei ospiti e la possibilità di essere in ‘bella’ compagnia è molto poco remota.
Oltrepasso la tomba che ho davanti e proseguo per la mia direzione (perché cambiare?) ma smetto di correre, dal momento che ora bisogna che cominci a razionalizzare la fuga.
Da dietro le mie spalle sento un rumore che non ho mai sentito in vita mia, è molto metallico e immediatamente dopo una saetta di luce mi sfiora un orecchio. Mi hanno sparato, è indubbio, e il colpo per poco non centrava il bersaglio! La luce che mi ha appena accarezzato penetra prima nella nebbia e poi termina la sua corsa contro qualcosa di solido, e l’esplosione che si crea emerge dal bianco che mi circonda e per un attimo riesco a vedere i confini del luogo in cui sono. “Il muro! Quello è un muro!” penso con gioia e senza riflettere che chi mi ha appena sparato sta per rifarlo, mi metto a correre verso il muro.
Nel momento in cui vedo di fronte a me la parete, perché la nebbia l’ha liberata, non faccio più in tempo a frenare e così mi getto di spalla contro l’ostacolo, in modo da attutire l’impatto. Il materiale di cui è fatto il muro è lo stesso che ho sotto i piedi, e mentre rifletto su questo particolare senza importanza un altro proiettile di luce mi sfiora il corpo. Finisce la sua corsa a pochi centimetri dal mio braccio sinistro e l’esplosione genera un calore che mi ustiona la pelle.
Tutto ciò ha su di me come l’effetto di una frustata e comincio quindi a correre verso sinistra, come se il proiettile mi avesse indicato la strada. Mi aspetto da un momento all’altro di essere colpito mortalmente da uno di quei lampi di luce che partono da non so dove e invece (perché quella volta fui veramente fortunato) mi trovo di fronte un’uscita nel muro che sto costeggiando.
Vi passo attraverso e come se fossi finito in un altro scenario del set di un film di fantascienza, il paesaggio cambia totalmente: quella luce uniforme che mi impediva di vedere oltre a un palmo dal mio naso è scomparsa, e tutto ciò che mi circonda ora è perfettamente chiaro e definito.

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