Un racconto a puntate
Bene, eccoci finalmente arrivati al nocciolo, al motore che muove tutto, al perché scrivo. A ripensarci ora mi rendo conto che è l’unico motivo per cui ho iniziato a raccontare storie, questo genere di storie! Non ci avevo mai riflettuto e non fosse stato per ieri sera forse non lo avrei mai realizzato, avrei continuato a credere a quella storia dell’ispirazione, del dono naturale e altre falsità del genere (almeno per quello che mi riguarda!). Oggi purtroppo la penso diversamente e purtroppo mi spiego tante cose…
Quello che sto per scrivere è quasi terapeutico, credo che ormai tutto questo non possa più stare dentro di me, soprattutto adesso che ricordo tutto. Devo scriverlo e forse rileggendolo, un giorno, riuscirò a non piangere e a non rimanere impietrito dal terrore, perché adesso, mentre sto scrivendo, è questo quello che sto provando!
Prima mi siano concesse un paio di premesse, una agli amici ed una più generale: ai miei amici, a quelli che hanno letto quello che ho scritto finora e che mi hanno fatto i complimenti, chiedendomi anche da dove mi vengano certe idee e come faccia a pensarle dico: “Forse ora capirete…”. A tutti gli altri che ora stanno leggendo queste parole: “Giuro che adesso, mentre premo a gran ritmo i tasti della mia tastiera, l’idea è quella di non stampare mai e di non far mai leggere a nessuno questo ‘racconto’, se lo state leggendo è solo perché per qualche strano motivo ho cambiato quella che, ora come ora, è una ferrea convinzione”.
Va bene, ora quindi inizia la storia! Vado a raccontarvi quello che mi è successo in un Agosto di sette anni fa: il tutto comincia alle dieci di sera di un venerdì (non chiedetemi la data! Potrei andare a vederla su qualche vecchio calendario ma non me la sento; non tutto in una volta per piacere!).
Credo sia impossibile convincere qualcuno del fatto che fino a ieri sera niente di tutto questo era presente nella mia testa almeno a livello conscio, eppure è la pura e semplice verità. Se vogliamo addentrarci nel terreno, a me sconosciuto, della psicanalisi allora non credo sia impossibile dimostrare che molte delle cose che ho scritto hanno ragione di essere esclusivamente per quell’esperienza e a ripensare all’incredibile coincidenza di alcuni particolari che vissi in quelle ore e da me poi descritti in alcuni racconti, me ne convinco sempre di più…
Ci siamo! Ora è il momento di ritornare indietro di sette anni, di scoprirsi senza barba e con i capelli molto più lunghi, di sentirsi in perfetta forma fisica e di sorridere felici (ironia della sorte!) nel vedersi senza questa maledetta pancetta che non c’è verso di far sparire. Voi potete ancora decidere di non avventurarvi oltre; io lo avevo deciso (se di scelta volontaria si può parlare) e non fosse stato per l’incubo di ieri notte probabilmente per molti altri anni, se non per sempre, questa storia sarebbe rimasta nascosta nelle cavità della mia mente. Ormai tutto è di nuovo vivo dentro di me e non posso fare altro che scriverlo...
Siamo poco prima delle dieci di un venerdì di Agosto di sette anni fa, è una serata caldissima
Grazie, con il sole che c’è stato oggi!
e mi ritrovo a girare per la spiaggia in costume, allegro per via di quel vinello fresco fresco che ha portato Giovanni, cercando il coraggio per tuffarmi in acqua a riprendermi un po’.
E’ una serata terribilmente buia e a pensare che ieri sera c’era la luna piena e abbiamo fatto quella lunghissima passeggiata senza mai smettere di sorprenderci per quanta luce può fare la luna, mi invade una malinconia insopportabile. Si sente, nemmeno troppo in lontananza, la chitarra di Marco che accompagna la voce dolcissima di una ragazza che non credo di conoscere, ma che appena torno con gli altri,
dai, mi passa la nausea e si torna, ok?
sicuramente mi faccio presentare.
Passo a fianco di una coppietta che si sbaciucchia sdraiata sulla sabbia; avranno si e no diciotto anni, anzi lei mi sembra molto più giovane di lui, ma penso che siano solamente fatti loro e proseguo senza soffermarmi oltre: l’idea di passare per un guardone non è che mi affascini più di tanto.
Guardo l’ora, senza desiderare di sapere che ore siano, semplicemente perché è un’abitudine farlo e il mio orologio al quarzo fa scattare proprio sotto i miei occhi la scritta “22:00:00”. Sorrido compiaciuto. Non riesco a ricordare che mi sia mai capitata una coincidenza così straordinaria e mi sorprendo a riflettere che tutto sommato, se per un qualche motivo fossi un fanatico della cifra “10:15:27” ora non mi sarei stupito per niente, e che probabilmente ad ogni secondo della giornata corrisponde una persona che si affascina per la coincidenza di guardare l’orologio in quell’istante
certo che chi può essere così scemo da stupirsi per un’ora non piena? O le 21, o le 22, comunque ore precise, no?
Non faccio nemmeno in tempo ad accorgermi che ogni suono ora è sparito, che la chitarra non suona più, che quella splendida voce non canta più, che le onde non si infrangono più (!), quando una luce mi abbaglia all’improvviso e la terra si stacca dai miei piedi.
Mi sento letteralmente trasportare verso l’alto, verso una sorgente luminosa che mi acceca e mi impedisce di capire che cosa sia. Solo nell’istante in cui passo attraverso un foro largo non più di due metri il bagliore cessa; guardo in basso e la spiaggia
Sara! Era Sara a cantare, altro che!
è a circa otto, nove metri da me.
Vengo trasportato ancora per pochi decimetri quindi un rumore metallico mi dice che sotto i miei piedi ora c’è qualcosa: uno sportello si è appena chiuso ed ora non sono più sospeso in aria, sono appoggiato, con le gambe tremanti, sul pavimento di
astronave
un’astronave!
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