Fu proprio nell’ultimo istante, quando ormai gli sarebbe stato impossibile tornare indietro, che capì che quello che stava per fare non era ciò che avrebbe voluto.
In quell’attimo, l’ultimo attimo, nella sua mente si affollarono un’infinità di pensieri e lui ne ebbe per un istante la consapevolezza.
Era come se avesse avuto davanti agli occhi uno schermo sul quale fossero stati proiettati contemporaneamente migliaia e migliaia di pellicole e per una qualche magia (cos’altro se no?) riuscisse a distinguerle ad una ad una. C’era qualcosa di più: anche le voci, accavallate le une alle altre, intrecciate e confuse come diversamente non sarebbe potuto essere, giungevano alle sue orecchie in un ordine particolare e ad ogni immagine riusciva ad associare il giusto suono.
Allora in quell’ammasso di luce che la sua mente proiettava davanti ai suoi occhi e in quel frastuono assordante che solamente lui poteva sentire, c’era sua padre che lo appendeva al muro quando era un bambino e non si poteva difendere (avrebbe reagito ora?). C’era lui, seduto a fianco del suo cane, tre giorni prima che morisse ad abbracciarlo e a chiedergli scusa: scusa per averlo portato poche volte a spasso, per quella volta del calcio e per le punture, e come allora i suoi occhi si annebbiarono.
C’era un treno che sfrecciava davanti ai suoi occhi. I finestrini erano una striscia continua luminosa e in mezzo a quello spettacolo sfocato ed in movimento lui, in piedi ad osservare il treno che passava, vide sé stesso seduto in un vagone, unica immagine a fuoco in quel mare di ombre, a parlare con un qualche “fantasma” del suo passato.
C’era sua nonna che gli sorrideva; c’era una spiaggia deserta illuminata da una luna piena circondata da stelle cadenti; c’era una macchina parcheggiata vicino ad un lago e c’era lui che piangeva disperato per chissà quale motivo.
Sentiva una canzone, ne distingueva il testo avulso dalla musica, sembrava che qualcuno lo stesse recitando, eppure quelle parole rievocavano in lui una melodia; quella musica, quelle parole dovevano ricordargli qualcosa, qualcosa che era nella sua testa, ne era convinto, ma che in quel preciso momento gli sfuggiva. Vide una ragazza che forse era legata a quel ricordo, poi quell’immagine sfumò mentre sullo “schermo” la stava abbracciando per salutarla.
Nuovamente altre immagini presero il posto di quelle vecchie e nuove frasi si sovrapposero a suoni ormai sfumati.
Tutto questo e molte altre scene furono chiare nella sua mente per un solo istante, eppure ora quei ricordi erano di nuovo vivi.
Nell’ultimo momento, in piedi sul balcone di casa sua a quasi venti metri dalla strada, si rivide quando prese la decisione, quella maledetta decisione che ora avrebbe pagato oro pur di potersela rimangiare. Invece non poteva. “Il dado è tratto”! Qualcuno l’aveva detto prima di lui e mai come adesso ne comprendeva il senso.
Guardò una macchina passare sotto di lui e un senso di vertigine, che non si era affievolito nemmeno dopo dieci anni vissuti in quella casa, lo assalì inesorabile.
Stava per farlo, nessuno lo avrebbe potuto fermare e una voce dentro di lui gridava: “Noooo!”.
La sua mano ormai era partita: afferrò la sigaretta che gli pendeva dalle labbra tra l’indice e il pollice, la guardò con disprezzo e la gettò nel vuoto. Il puntino luminoso disegnò nel buio della notte una parabola perfetta, poi toccò il suolo ed esplose.In quel momento, quando finalmente nella sua testa era riuscito a riportare calma e silenzio, disse: “Questa volta si smette davvero!”.
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4 commenti:
E' proprio bello. Complimenti!
Grazie Spina,
soprattutto per averlo letto.
Al prossimo.
Ciao.
secondo me poi ha ripreso a fumare
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